Mentre i fiori gialli del tarassaco si abbandonano all’impeto che rianima il giorno fra le parole mancate e le parole che non mi mancano, le ceneri dell’inverno, senza corpo ferire, lasciano il fuoco in buone mani.
Nella misura in cui il franamento dei nomi abita il significato tradito, la verità di una nuova appropriazione del senso, nonché della materia dei miei sensi che non vogliano accettare gli affetti claudicanti, è la rimozione di ogni differenza fra le tanti morti e le tante rinascite di questa mancata sintesi che si chiama Carmine Mangone.
Nell’indicibile momento in cui l’alba viene a squassare la pietra dormiente, io persuado la casa, il sole e tutte quelle insidie che mi condurranno (non da solo, non per sfida) a nuovi ruscellamenti.
Il desiderio è l’impulso astratto di una materia che vuol dare un senso a ogni onda che si abbatta a riva.
Oltraggio effimero all’indifferenza del divenire, ciò che ci ostiniamo a chiamare senso gioisce sempre controcorrente e lo si ritrova in ogni movimento che riesca a mettere in difficoltà la morte.
Voglio credere che diventi timido anche Dio al ricordo del tuo culo e che ci sia sempre qualcosa di terribile nella contumace bellezza di un pompino fatto con amore.
È quasi sera,
è quasi eterno.
Gli uccelli tornano ai nidi
e io faccio un patto col tramonto:
sia sempre gloria
alla stanchezza che non bestemmi l’opera.
Laureana Cilento, 8-10 aprile 2022. Fotografia: Anita Dadà.
